La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9637/2018 (Cass. 9637-2018), depositata il 19 aprile scorso, ha, da un lato, ribadito alcuni recenti orientamenti e dall’altro ha apportato un elemento di novità rispetto a visioni già consolidate.

La materia del contenzioso, tutto vicentino, vedeva due professionisti agire in revocatoria per la soddisfazione di un diritto di credito a loro dire compromessa a seguito della costituzione in trust dei beni del debitore. Il Tribunale accoglieva la domanda dei ricorrenti, dichiarando l’inefficacia dell’atto di dotazione, confermata poi in Corte d’Appello, la quale, se da un lato, sottolineava l’anteriorità dei crediti rispetto al trasferimento, a titolo gratuito, dei beni al trustee, dall’altro evidenziava la finalità di sottrarre i beni conferiti in trust alla garanzia per i creditori, evidente nel fatto che il disponente si era riservato il potere di sostituire a suo piacimento sia il trustee che i beneficiari; per cui poteva sostenersi che, nella realtà, i beni rimanevano nella sua disponibilità a conferma che l’unico scopo dell’atto in contestazione era quello di «vincolare il proprio patrimonio alle proprie esclusive esigenze e contemporaneamente sottrarlo ai creditori, rendendolo apparentemente altro da sé».


Le conferme.
In prima battuta viene confermato quanto statuito dalla stessa Suprema Corte con sentenza del 3.8.2017 n. 19376 , circa la natura di atto gratuito, ai fini dell’azione revocatoria, dell’assoggettamento di determinati beni al vincolo derivante da un trust. Ne deriva che l’apporto al trust può essere revocato anche quando il soggetto avente causa del trasferimento non sia consapevole del pregiudizio arrecato ai creditori, essendo sufficiente dimostrare il pregiudizio e che il debitore, compiendo quell’atto, ne fosse invece consapevole.
Come noto, qualora l’atto pregiudizievole verso i creditori sia a titolo oneroso, il creditore che agisce in revoca deve anche dare prova di un ulteriore elemento, ossia che l’avente causa dell’atto a titolo oneroso compiuto dal debitore, avesse contezza del pregiudizio che l’atto arrecava ai creditori.
Tale maggior onere, invece, non è richiesto per la revocatoria degli atti a titolo gratuito, per i quali, infatti, opera una sorta di presunzione di fraudolenza, in ragione del fatto che sono realizzati senza un corrispettivo e dunque certamente riducono il patrimonio del debitore.
Includere il trust negli atti a titolo gratuito rende, dunque, più agevole per i creditori ottenerne la revocatoria. La sentenza in commento conferma la statuizione della Corte d’Appello, secondo cui era evidente la volontà del disponente di trasferire i beni al trustee senza averne alcun corrispettivo.
A tal proposito la sentenza in commento aggiunge che l’apporto dei beni in un trust è revocabile se il creditore è in grado di dimostrare che lo scopo di questa operazione è sottrarre ai creditori i beni vincolati nel trust rendendoli apparentemente di titolarità del trustee, ma di fatto nella disponibilità del disponente. Nel caso di specie secondo la Corte ciò sarebbe verificato per il fatto che il disponente si sia riservato il potere di di sostituzione sia del trustee quanto dei beneficiari, in quanto «è chiaro che la conservazione di simili penetranti poteri in capo al conferente rappresenta qualcosa di ben più significativo rispetto alla semplice consapevolezza di arrecare un pregiudizio ai creditori», elemento questo considerato dalla stessa Corte ben più significativo della mera consapevolezza del pregiudizio ad essi arrecato.
Una ulteriore conferma fornita dalla Corte nella sentenza 9637, attiene alla partecipazione al giudizio dei beneficiari del trust, in qualità di legittimati passivi.
La Corte, confermando la citata decisione di agosto 2017, ribadisce che i beneficiari del trust che non siano titolari di diritti attuali non sono legittimati passivi nè litisconsorti necessari nell’azione revocatoria, mentre lo è, insieme al debitore, il trustee, in quanto unico soggetto di riferimento per i rapporti con i terzi.
La novità.
La Suprema Corte censura la sentenza del giudice d’appello, impugnata in sede di legittimità, secondo la quale il trust sarebbe un “contratto atipico”, la cui meritevolezza di tutela, ai sensi dell’articolo 1322 c.c. andrebbe pertanto valutata caso per caso al fine di stabilirne la validità.
La Corte di Cassazione nella sentenza 9637/2018, rileva che la valutazione (astratta) delle meritevolezza di tutela è stata compiuta una volta per tutte la legislatore e conclude che “non è necessario che il Giudice provveda di volta in volta a valutare se il singolo contratto risponda al giudizio previsto dal citato art. 1322 cod.civ” ; la decisione sembra dunque individuare una sorta di tipicità del trust per il nostro ordinamento. Conseguenza di ciò è, appunto, che non occorre vagliarne la «meritevolezza di tutela», caso per caso, come impone, per i contratti atipici, l’articolo 1322 del Codice civile.
Secondo la Corte, pertanto, con la legge 16 ottobre 1989, n. 364 di ratifica della «Convenzione sulla legge applicabile ai trust e sul loro riconoscimento» adottata all’Aja il 1° luglio 1985, il nostro legislatore, «ha dato cittadinanza nel nostro ordinamento, se così si può dire, all’istituto in oggetto [ndr: del trust], per cui non è necessario che il giudice provveda di volta in volta a valutare se il singolo contratto risponda al giudizio di meritevolezza di tutela prescritto dall’articolo 1322 del Codice civile.
Conclusioni.
Come affermato da autorevole dottrina, prosegue il processo di metabolizzazione del trust , anche se con indicazioni a volte discutibili, come nell’affermazione che il trust sia un “contratto”, anziché un “negozio” da ritenersi “tipico”

Maurizio Casalini     Elena Zambon

27 aprile 2018
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